IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LAZIO (Sezione Seconda) ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso numero di registro generale 10969 del 2014, integrato da motivi aggiunti, proposto da: Mauro Zampini, rappresentato e difeso dall'avv. Massimo Luciani, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, Lungotevere Raffaello Sanzio, 9; Contro Segretariato generale della Giustizia amministrativa, Presidenza del Consiglio dei ministri, Ministero dell'economia e delle finanze, Consiglio di Stato, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliati in Roma, Via dei Portoghesi, 12; Per l'annullamento: della nota prot. n. 38 in data 20 maggio 2014, con cui l'Amministrazione ha comunicato al ricorrente che «a decorrere dal prossimo mese di giugno 2014, questa Amministrazione ... provvedera', allo stato, alla sospensione della erogazione del trattamento retributivo», nonche' per l'accertamento del diritto a percepire il trattamento stipendiale in una con il trattamento pensionistico in essere senza le decurtazioni previste dall'art. 1, comma 489, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, e per la condanna dell'Amministrazione al versamento e alla restituzione delle somme nelle more illegittimamente trattenute e recuperate, nonche', quanto ai primi motivi aggiunti, per l'annullamento della nota del Segretariato generale della Giustizia amministrativa in data 5 agosto 2014 avente ad oggetto «Comunicazione di versamento delle addizionali comunali IRPEF e dell'addizionale regionale IRPEF», con cui l'amministrazione ha comunicato che, per effetto della sospensione del trattamento retributivo ex art. 1, comma 489, legge n. 147 del 2013, disposta a decorrere dal mese di giugno, il ricorrente «dovra' procedere a versare personalmente le addizionali comunali IRPEF e l'addizionale regionale IRPEF» secondo gli importi determinati nel prospetto allegato all'atto; nonche', quanto ai secondi motivi aggiunti, per l'annullamento della nota del Segretariato generale della Giustizia amministrativa in data 7 ottobre 2014, con cui l'amministrazione, all'esito dell'istruttoria avviata per l'applicazione della normativa in oggetto, ha comunicato che il trattamento pensionistico del ricorrente, al netto del contributo di solidarieta', «e' superiore al tetto massimo retributivo previsto dalla vigente normativa per l'anno 2014», nonche', quanto ai terzi motivi aggiunti, per l'annullamento della nota del Segretariato generale della Giustizia amministrativa del 22 dicembre 2014, con cui l'amministrazione ha comunicato che per il 2015 al ricorrente non potra' essere erogato alcun trattamento economico; Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Avvocatura generale dello Stato; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 febbraio 2016 il dott. Roberto Caponigro e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto in fatto e considerato in diritto, quanto segue 1. Il ricorrente, Consigliere di Stato a far tempo dal 2006, espone di essere al contempo titolare di un trattamento pensionistico erogato dalla Camera dei deputati. Soggiunge che il Segretario generale della giustizia amministrativa, con nota del 20 maggio 2014, tenuto conto del tetto indicato dall'art. 13 decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, pari ad euro 240.000,00, ha comunicato al ricorrente che «a decorrere dal prossimo mese di giugno 2014, questa Amministrazione - fermi gli ulteriori approfondimenti sull'applicazione della norma citata, anche con riferimento alle garanzie di continuita' della copertura assicurativa obbligatoria - provvedera', allo stato, alla sospensione della erogazione del trattamento retributivo», disponendo che «resta fermo, all'esito delle definitive determinazioni, l'obbligo di restituzione delle somme percepite per il periodo dell'anno 2014 antecedente alla disposta sospensione, laddove in eccesso rispetto al tetto normativamente previsto». L'art. 1, comma 489, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, e' intervenuto nuovamente in materia di trattamento economico annuo onnicomprensivo di chiunque riceva a carico delle finanze pubbliche emolumenti o retribuzioni nell'ambito di rapporti di lavoro dipendente o autonomo con pubbliche amministrazioni statali, disponendo che, ai fini del raggiungimento del «tetto», devono essere computati anche i trattamenti pensionistici pregressi eventualmente percepiti a carico di gestioni previdenziali pubbliche. In particolare, la norma prevede che «ai soggetti gia' titolari di trattamenti pensionistici erogati da gestioni previdenziali pubbliche, le amministrazioni e gli enti pubblici compresi nell'elenco ISTAT di cui all'art. 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, e successive modificazioni, non possono erogare trattamenti economici onnicomprensivi che, sommati al trattamento pensionistico, eccedano il limite fissato ai sensi dell'art. 23-ter, comma 1, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214. Nei trattamenti pensionistici di cui al presente comma sono compresi i vitalizi, anche conseguenti a funzioni pubbliche elettive». Il terzo periodo della medesima disposizione, peraltro, aggiunge che «sono fatti salvi i contratti e gli incarichi in corso fino alla loro naturale scadenza prevista negli stessi». L'art. 13 del decreto-legge n. 66 del 2014 ha provveduto a ridurre il tetto massimo prevedendo che, «a decorrere dal 1° maggio 2014 il limite massimo retributivo riferito al primo presidente della Corte di cassazione .... e' fissato in euro 240.000 annui al lordo dei contributi previdenziali ed assistenziali e degli oneri fiscali a carico del dipendente». Il ricorrente - premesso di appartenere ad una esigua categoria di pubblici funzionari di altissimo livello che, giunti all'apice della propria carriera, sono stati nominati Consiglieri di Stato ai sensi dell'art. 19, comma 1, n. 2), della legge n. 186 del 1982 essendo collocati in quiescenza dall'amministrazione di originaria appartenenza nonche' di avere gia' subito una significativa decurtazione del trattamento economico prevista dall'art. 1, comma 486, della legge n. 147 del 2013 e, prima ancora dagli articoli 9, comma 2, del decreto-legge n. 78 del 2010 e 2 del decreto-legge n. 138 del 2011 - ha proposto il presente ricorso chiedendo l'accertamento del diritto a percepire il trattamento stipendiale in una con il trattamento pensionistico in essere senza le decurtazioni previste dall'art. 1, comma 489, della legge n. 147 del 2013. In particolare, ha sostenuto che: l'amministrazione, senza adeguatamente motivare sul punto, ha ritenuto non applicabile al ricorrente la deroga di cui al terzo periodo dell'art. 1, comma 489, della legge n. 147 del 2013, vale a dire «sono fatti salvi i contratti e gli incarichi in corso fino alla loro naturale scadenza prevista negli stessi», laddove il lemma «incarico» dovrebbe rimandare, in via generale, anche ai rapporti di lavoro a regime pubblicistico intesi nella loro globalita', non potendosi legittimamente differenziare tra rapporti la cui prestazione specifica consista nell'assolvimento di un «incarico» e rapporti estrinsecantisi nello svolgimento di una «funzione»; in subordine, la norma primaria applicata (art. 1, comma 489, della legge n. 147 del 2013) sarebbe costituzionalmente illegittima per disparita' di trattamento e violazione del principio di ragionevolezza, per violazione del principio della tutela dell'affidamento di cui agli articoli 3 e 117, comma 1, Cost. e 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, per violazione degli articoli 3, 4, 23, 36, 38, 53, 100, 101, 104 e 108 Cost. Il Segretariato generale della Giustizia amministrativa, con nota del 5 agosto 2014, ha precisato che, per effetto della sospensione del trattamento retributivo ex art. 1, comma 489, della legge n. 147 del 2013, disposta a decorrere dal mese di giugno, il ricorrente «dovra' procedere a versare personalmente le addizionali comunali IRPEF e l'addizionale regionale IRPEF», secondo gli importi determinati nel prospetto allegato alla nota medesima. Con motivi aggiunti, il ricorrente ha sostenuto che tale atto sarebbe affetto dai medesimi vizi illustrati con il ricorso originario in quanto, senza alcuna motivazione, non avrebbe dato applicazione alla deroga di cui all'ultimo periodo dell'art. 1, comma 498, della legge n. 147 del 2013, cosi' esponendo la disposizione di legge ai vizi di legittimita' costituzionale gia' dedotti nell'originario gravame. Con un secondo atto di motivi aggiunti, il ricorrente ha dedotto in via derivata, costituendo atto applicativo delle precedenti determinazioni, l'illegittimita' della nota del Segretariato generale della Giustizia amministrativa in data 7 ottobre 2014, con cui l'amministrazione ha comunicato che il trattamento pensionistico del ricorrente, al netto del contributo di solidarieta', e' superiore al tetto massimo retributivo previsto dalla vigente normativa per l'anno 2014 ed ha ordinato la restituzione, in unica soluzione ed entro la data del 15 dicembre, degli emolumenti erogati nel periodo 1° gennaio - 31 maggio 2014, al netto degli oneri sociali. Con un terzo atto di motivi aggiunti, il ricorrente ha dedotto in via derivata, costituendo atto applicativo delle precedenti determinazioni, anche l'illegittimita' della nota del Segretariato generale della Giustizia amministrativa in data 22 dicembre 2014, con cui l'amministrazione ha comunicato che, per l'anno 2015, il trattamento economico, ad oggi, spettante al ricorrente risulta superiore al limite massimo retributivo fissato in euro 240.000 per effetto del cumulo con il trattamento pensionistico in godimento, dando contestualmente atto che le competenze retributive, a decorrere dalla mensilita' di gennaio, verranno erogate fino a concorrenza del predetto limite. L'Avvocatura generale dello Stato ha contestato la fondatezza delle argomentazioni sviluppate dal ricorrente concludendo per il rigetto del ricorso. All'udienza pubblica del 24 febbraio 2016, la causa e' stata trattenuta per la decisione. 2. La posizione giuridica dedotta in giudizio dal ricorrente ha natura di diritto soggettivo avente carattere patrimoniale, sicche' l'azione proposta, sebbene prospettata in primo luogo come azione di annullamento di atti, e' qualificabile come azione di accertamento e non involge la legittimita' dell'esercizio del potere pubblico. In altri termini, nel caso di specie, il ricorrente agisce per ottenere il riconoscimento del diritto soggettivo a percepire il trattamento stipendiale unitamente al trattamento pensionistico senza le decurtazioni previste dall'art. 1, comma 489, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, per cui gli atti adottati dall'amministrazione sono sostanzialmente irrilevanti ai fini della definizione del rapporto in quanto la soddisfazione della situazione giuridica soggettiva, vale a dire l'accertamento del diritto, e' realizzabile indipendentemente dal riconoscimento derivante dalla intermediazione di un provvedimento amministrativo (in tal senso tutta la giurisprudenza sulla distinzione tra atti paritetici ed atti autoritativi, sviluppatasi a seguito della c.d. sentenza Fagiolari, dal nome del presidente ed estensore, Consiglio di Stato, V, 1° dicembre 1939 n. 795; cfr. anche Tribunale amministrativo regionale Lazio, I, 13 febbraio 2012, n. 1404). Ne consegue che il thema decidendum del presente giudizio e' costituito solo ed esclusivamente dalla valutazione della fondatezza della pretesa dedotta dal ricorrente circa la non applicabilita' della norma sul «tetto» nei suoi confronti, a nulla rilevando eventuali vizi prospettati in relazione agli atti fatti comunque oggetto di impugnazione. 3. Con una prima serie di argomentazioni, il ricorrente ha sostenuto che avrebbe dovuta essere applicata al caso di specie la deroga di cui al terzo periodo dell'art. 1, comma 489, della legge n. 147 del 2013, secondo cui «sono fatti salvi i contratti e gli incarichi in corso fino alla loro naturale scadenza prevista negli stessi» atteso che il lemma «incarico» dovrebbe rimandare, in via generale, anche ai rapporti di lavoro a regime pubblicistico intesi nella loro globalita', non potendosi legittimamente differenziare tra rapporti la cui prestazione specifica consista nell'assolvimento di un «incarico» e rapporti estrinsecantisi nello svolgimento di una «funzione». Sul punto, la Prima Sezione di questo Tribunale, con ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale n. 5715 del 2015, ha condivisibilmente affermato che la disposizione derogatoria si riferisce a «tutti i rapporti - indifferentemente di diritto privato o pubblico ... - che a quel momento, peraltro, non solo erano gia' in corso, bensi' erano anche individuati da un naturale termine di «scadenza», e non gia', quindi, per l'esercizio in atto di una funzione giurisdizionale «togata» e non onoraria, ovverosia svolta a seguito dell'inserimento a pieno titolo in un plesso giurisdizionale, con la conseguente creazione di un rapporto d'ufficio caratterizzato non gia' da una prefissata temporaneita' bensi' - al contrario - dalla stabilita' ed anzi dalla garanzia di inamovibilita'». La deroga relativa ai contratti e agli incarichi in corso, limitata alla loro naturale scadenza, quindi, determina una ragionevole distinzione tra rapporti di lavoro a tempo indeterminato e rapporti di lavoro a tempo determinato e non si applica al ricorrente in quanto titolare di rapporto di lavoro a tempo indeterminato regolato da norme di legge. 4. La questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 489, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, prospettata in via subordinata dal ricorrente e' di conseguenza rilevante al fine di accertare la fondatezza della pretesa del ricorrente a percepire il trattamento stipendiale in uno con il trattamento pensionistico senza subire le decurtazioni previste da detta norma. 4.1 Sotto un primo profilo, in ragione di quanto in precedenza esposto, non puo' ritenersi che la norma di legge determini una disparita' di trattamento. La disposizione derogatoria che fa «salvi i contratti e gli incarichi in corso fino alla loro naturale scadenza prevista negli stessi», infatti, non si riferisce a tutti i dipendenti della pubblica amministrazione titolari di rapporti di lavoro privatizzati e contrattualizzati, atteso che la deroga non si applica ai rapporti a tempo indeterminato regolati da norme di legge o da contratti collettivi, ma solo ai rapporti a tempo determinato su base convenzionale tra amministrazioni pubbliche e soggetti privati. Ne' vi e' motivo di ritenere che la salvaguardia dei rapporti di lavoro a tempo determinato determini una ingiustificata disparita' di trattamento, perche' e' possibile ipotizzare una violazione dell'art. 3 della Costituzione solo in presenza di situazioni tra loro comparabili, mentre i rapporti di lavoro a tempo determinato non sono evidentemente comparabili con quelli a tempo indeterminato. 4.2 Parimenti infondata risulta la questione incentrata sulla violazione del principio della tutela dell'affidamento, di cui agli articoli 3 e 117, comma 1, della Costituzione e all'art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo. In proposito e' sufficiente ribadire le considerazioni svolte al riguardo dalla prima Sezione questo Tribunale. Difatti nella suddetta ordinanza n. 5715 del 2015 e' stato posto in rilevo quanto segue: «la previsione di compensi e trattamenti pensionistici massimi a carico della finanza pubblica per i singoli soggetti titolari di pubblici uffici non appare intrinsecamente illogica o negativa ai fini di una razionalizzazione della c.d. «giungla retributiva» che storicamente ha caratterizzato - secondo numerose indagini del Parlamento, del Governo e di Organi indipendenti - un'Amministrazione non sempre caratterizzata da massimi livelli di efficienza, mentre - dal punto di vista dei singoli trattamenti retributivi oggetto del presente giudizio - all'atto dell'accettazione della nomina ... gli interessati - anche in virtu' delle stesse competenze ed esperienze professionali che ne avevano motivato la scelta - erano o ben potevano essere a conoscenza delle recenti misure di legge volte al contenimento della spesa pubblica ed adottate proprio su iniziativa dello stesso Potere Esecutivo che li aveva proposti al nuovo incarico, di modo che - da un lato - l'accettazione non poteva non implicare la piena consapevolezza circa i prevedibili limiti al proprio compenso e - dall'altro - la proposta di nomina assolutamente fiduciaria da parte del Governo non poteva ragionevolmente suscitare l'aspettativa di un trattamento differenziato quanto alla sorte del proprio compenso a carico della finanza pubblica, in quanto cio' si sarebbe tradotto in una ampissima facolta' di deroga del Governo - rispetto alle norme da esso proposte - in favore di singoli soggetti dallo stesso individuati, suscitando profili di problematica coesistenza con i principi di legalita' ed uguaglianza davanti alla legge sanciti dal nostro ordinamento»; «il nuovo generale tetto economico in esame risponde agli obiettivi d'interesse pubblico lasciati alla discrezionalita' dei singoli Stati quanto al contenimento, alla trasparenza ed alla congruita' della spesa pubblica, nel quadro dei doveri di solidarieta' sociale di cui all'art. 2 della Costituzione e dei principi di buon andamento dell'amministrazione di cui all'art. 97, mentre la Corte costituzionale ha piu' volte chiarito che, salvi i limiti in materia penale derivanti dall'art. 25, comma 2, Cost., non e' in linea di principio precluso al legislatore intervenire per mutare la disciplina dei rapporti di durata in corso, anche con disposizioni che modificano in senso sfavorevole situazioni soggettive perfette, purche' nel limite del rispetto del principio di eguaglianza ex art. 3 Cost. e del principio di affidamento dei cittadini nella sicurezza giuridica, che - come sopra chiarito - non appaiono violati nella fattispecie in esame (in senso conforme, Corte costituzionale, sentt. n. 92 del 2013, n. 166 del 2012, n. 525 del 2000, n. 211 del 1997, n. 409 del 1995) ». 4.3 Anche con riferimento alla prospettata violazione degli articoli 3 e 53 della Costituzione, il Collegio condivide le considerazioni svolte dalla Prima Sezione di questo Tribunale nella richiamata ordinanza n. 5715 del 2015, ove e' stato evidenziato che: «le descritte finalita' di contenimento, trasparenza e razionalizzazione della spesa pubblica determinano, non irragionevolmente, una progressiva decurtazione, disciplinata ex lege, dei possibili ulteriori redditi al raggiungimento del tetto prefissato, indifferenziatamente applicata a tutti i compensi comunque posti a carico della finanza pubblica, senza che cio' possa generare, proprio per la sua trasversalita', indebite disparita' di trattamento, divenendo quindi non rilevante, ai fini del giudizio a quo, la sua invocata qualificazione quale imposizione fiscale, che sembra comunque doversi escludere, in quanto la legge, in estrema sintesi, pone un «tetto» a regime all'erogazione a chiunque di somme a titolo retributivo e pensionistico poste a carico della finanza pubblica, anziche' imporre un prelievo forzoso sulle somme percepite dal singolo interessato oltre il tetto prefissato». 4.4 Diverse considerazioni, invece, valgono per le questioni di legittimita' costituzionale incentrate sulla violazione degli articoli 3, 4, 36 e 38 Cost., degli articoli 3, 95 e 97 Cost., nonche' degli articoli 100, 101, 104 e 108 Cost., perche' il meccanismo del tetto massimo degli emolumenti comporta che la remunerazione della funzione di Consigliere di Stato di nomina governativa risulta fortemente ridotta o del tutto azzerata, si' da determinare: A) una violazione del diritto al lavoro e ad una retribuzione «proporzionata alla quantita' e qualita'» del lavoro prestato; B) una disparita' di trattamento fra soggetti che svolgono la medesima attivita' ed una irrazionale organizzazione della Giustizia amministrativa; C) un indebolimento delle garanzie di indipendenza nell'esercizio delle funzioni giurisdizionali. In particolare, con riferimento alla prospettata violazione degli articoli 3, 4, 36 e 38 Cost., nella suddetta ordinanza n. 5715 del 2015, relativa alla nomina di Consigliere della Corte dei conti, e' gia' stato posto in rilievo quanto segue: A) «il Collegio ritiene che debba essere preso in considerazione non il pur elevatissimo standard qualitativo dell'attivita' svolta da funzionari pubblici in possesso di un grado di preparazione di assoluta eccellenza per aver ricoperto in anni di servizio alle dipendenze dello Stato cariche apicali (avendo di conseguenza maturato l'elevato trattamento pensionistico "causa" del taglio del compenso), in quanto cio' potrebbe giustificare anche un incarico "onorario", in ipotesi anche gratuito, bensi' la circostanza dello svolgimento continuativo, con lo stabile ed organico inserimento nel relativo organico e con particolari garanzie di stabilita', della funzione di Consigliere della Corte dei conti, con l'assunzione da parte degli interessati di tutte le connesse prerogative e delicate e - non da oggi - rilevanti responsabilita', di natura professionale e civile, per il proprio operato. I tratti fondamentali dell'attivita' professionale stabilmente svolta dai ricorrenti, a seguito della nomina alla Corte dei conti, sotto la propria responsabilita' e con pieno inserimento organico, nell'ambito di una "magistratura togata" vale dunque a configurare l'esercizio di una vera e propria e stabile attivita' lavorativa professionale, differenziando la fattispecie in esame dai numerosi casi di svolgimento (talvolta essenzialmente gratuito) di pubblici uffici "onorari", di volta in volta motivati da alte e peculiari competenze (come accade per i Tribunali per i minori) o da meccanismi di sorteggio nell'ambito di platee in possesso di particolari requisiti (come accade per le giurie popolari), anche ai fini dell'esercizio della sovranita' popolare (come accade per i seggi elettorali)»; B) «la scelta dello Stato, mediante la disposizione di legge in esame, di continuare ad avvalersi del pieno apporto professionale dei ricorrenti (nulla la norma dicendo al riguardo, salve le loro eventuali dimissioni per evitare, in applicazione dell'art. 1, comma 489, della legge n. 147 del 2013, di prestare attivita' lavorativa non retribuita o retribuita in maniera estremamente esigua), anziche' disciplinare normativamente l'ipotesi in esame (ad esempio, prevedendo la incompatibilita' o decadenza ovvero una opzione per funzioni differenziate con minore compenso o del tutto onorarie e gratuite) e al tempo stesso di "di auto-esonerarsi" in tutto o in parte dalla loro retribuzione (non ponendo la norma alcuna deroga al tetto a tale riguardo), pur avendo esso Stato chiesto agli interessati di svolgere tale funzione mediante la proposta di nomina alla funzione (retribuita) di Consigliere della Corte dei conti - dichiaratamente motivata dalla loro eccellenza professionale in ragione della delicatezza e quindi dell'impegno delle funzioni da svolgere - appare costituzionalmente irragionevole, con la conseguente possibile violazione dell'art. 36, primo comma, della Costituzione, quanto al diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantita' (oltreche' alla qualita') del lavoro, nonche', indirettamente, dell'art. 38 della Costituzione, in quanto la drastica riduzione o addirittura l'azzeramento della retribuzione - e quindi della relativa contribuzione - precludono la conseguente implementazione della tutela assistenziale e previdenziale garantita dall'ordinamento». Quanto poi alla prospettata violazione degli articoli 3, 95 e 97 Cost., il Collegio osserva innanzi tutto che anche per i Consiglieri Stato di nomina governativa, del tutto equiparati ai Consiglieri Stato vincitori di concorso e a quelli provenienti dati Tribunali amministrativi regionali, valgono evidentemente le seguenti considerazioni, svolte nell'ordinanza n. 5715 del 2015: «premessa la determinazione delle sfere di competenza, attribuzioni e responsabilita' in modo indifferenziato per i Consiglieri di concorso ovvero di nomina governativa, la disposizione di legge che pone il tetto retributivo e pensionistico - e quindi differenzia nell'ambito di questi ultimi fra quelli retribuiti, ovvero privi di retribuzione a seguito del raggiungimento del tetto, senza disciplinare la loro sorte, potrebbe essere ritenuta suscettibile di determinare, da un lato, una ingiustificata disparita' di trattamento quanto alla retribuzione ovvero mancata retribuzione della medesima attivita' professionale, e, dall'altro, una irragionevole organizzazione contraria al buon andamento amministrativo mediante l'indifferenziato affidamento, a titolo oneroso ovvero a titolo gratuito, di funzioni di dichiarata rilevanza, impegno e delicatezza, atteso che anche la retribuzione dei funzionari pubblici deve rispondere - alla stregua del Trattato, della Convenzione europea e degli articoli 36 e 97 della Costituzione, ad un rapporto sinallagmatico ("proporzionato") riguardo alla quantita' e qualita' del lavoro svolto, non potendo quindi essere considerati fungibili il trattamento pensionistico per un'attivita' precedente e il compenso per un'attivita' in atto, ove consentita nell'ambito dei diritti di liberta' garantiti dalla Costituzione». Inoltre - posto che il sistema di reclutamento dei Consiglieri di Stato per nomina governativa mira a valorizzare le migliori competenze professionali disponibili nell'Amministrazione, che generalmente si rinvengono in coloro che hanno accumulato maggiore anzianita' e accantonato un montante contributivo tale da dar luogo ad un trattamento di quiescenza destinato a sommarsi al trattamento retributivo - il Collegio ritiene che la censurata disciplina finisca per penalizzare proprio le figure di maggiore spicco, con l'effetto di disincentivare la nomina di coloro che possono vantare i migliori titoli e le migliori esperienze, perche' costoro dovrebbero esercitare le funzioni di Consigliere di Stato senza una retribuzione adeguata; pertanto il Governo sarebbe costretto ad indirizzare altrove le proprie scelte, con evidente violazione del principio di ragionevolezza e del principio di buon andamento della pubblica amministrazione (articoli 3 e 97 Cost.), perche' le scelte non sarebbero indirizzate alla selezione dei migliori, e della norma che affida al Governo l'indirizzo politico-amministrativo (art. 95 Cost.), che viene distolto dal suo approdo piu' coerente e mortificato nella liberta' della sua esplicazione. Inoltre non manifestamente infondata appare la questione incentrata sulla violazione degli articoli 100, 101, 104 e 108 Cost., in ragione del possibile vulnus allo status di indipendenza ed autonomia dei magistrati, protetto dalle predette disposizioni costituzionali. Difatti, la Corte costituzionale ha piu' volte ribadito (sentenze n. 223 del 2012, n. 99 del 1995, n. 42 del 1993 e n. 238 del 1990) che una disposizione di legge che incide in peius nel trattamento retributivo dei magistrati e' legittima purche' abbia natura eccezionale e portata temporale limitata e sia comunque inserita in un ragionevole e non arbitrario intervento perequativo fra categorie di cittadini. Tanto, pero', non accade nel caso in esame, perche' il tetto massimo agli emolumenti, oltre ad incidere retroattivamente su un trattamento retributivo e su un trattamento previdenziale gia' maturati, non persegue un intervento perequativo, non essendo diretta a tutte le categorie dei percettori di reddito. Ne consegue la violazione delle menzionate disposizioni costituzionali poste a presidio dell'indipendenza ed autonomia dei magistrati.